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INVECCHIAMENTO CELLULARE E OSSIGENOTERAPIA: NUOVE FRONTIERE DELLA CLINICA

L’invecchiamento è definito come la progressiva perdita di quelle che sono le capacità fisiologiche del nostro organismo a vari livelli (fisico, metabolico, mentale, ecc.). Alla generale perdita delle nostre facoltà si associa inoltre un rischio aumentato di contrarre malattie cardiovascolari, patologie tumorali o neurodegenerative. Lo scopo di questo articolo è quindi quello di chiarire i meccanismi alla base dell’invecchiamento e di mostrare terapie e stili di vita che possano rallentarne l’avanzata.

La cellula, come ciascuno di noi, presenta un proprio ciclo vitale: in particolare questo è caratterizzato da una fase di proliferazione come precursore di tipo indifferenziato (periodo embrionale), a cui segue un periodo di durata variabile, definito periodo della maturità cellulare, nella quale essa acquisisce una sua specifica funzionalità. Durante questa fase, a seconda del grado di specializzazione, la cellula compierà un certo numero di cicli replicativi, che si concluderanno con un periodo terminale di senescenza, caratterizzato da alterazioni morfo-funzionali che culmineranno con l’apoptosi (o morte cellulare programmata).

Telomeri e telomerasi

La durata e il decorso di queste fasi sono regolate da un vero e proprio “orologio biologico” presente all’interno del nostro genoma: i telomeri. Essi sono delle sequenze di 6 nucleotidi (TTAGGG nell’uomo) ripetute “in tandem”, quindi una di seguito all’altra, dalle 500 alle 3000 volte, presenti nelle porzioni terminali di tutti i nostri cromosomi.

Per la conformazione del meccanismo di duplicazione cellulare e dei cromosomi stessi (che negli eucarioti sono lineari), al termine di ciascun ciclo replicativo, si viene a formare, in ciascuno dei due filamenti stampo, un’estremità definita protrudente (all’estremità 5’), proprio in corrispondenza delle sequenze telomeriche. Questa presenta DNA a singolo filamento, dalla lunghezza di circa 10 nucleotidi, che viene eliminato al termine di ogni duplicazione. Questo processo alla lunga porta ad una riduzione dei telomeri: il segnale principale dell’invecchiamento cellulare è infatti rappresentato proprio dal loro accorciamento. Nel periodo embrionale, la massiccia proliferazione cellulare che si verifica deve però avvenire senza che la lunghezza dei telomeri venga intaccata: a preservarli provvede l’enzima telomerasi, espresso specialmente e livello fetale.

L’enzima telomerasi presenta delle caratteristiche particolari: innanzitutto contiene al suo interno un filamento di RNA contenente una sequenza (UAACCCUAA) lunga 1,5 volte la sequenza telomerica e complementare ad essa. Oltre a ciò una volta legato all’estremità protrudente l’enzima è in grado, come alcuni enzimi virali, di operare una trascrizione inversa, ovvero di sintetizzare DNA a partire di un filamento di RNA (l’esatto contrario di quanto avviene nella trascrizione), 6 basi alla volta. L’eccesso di DNA retro trascritto sarà poi replicato sull’altro filamento dalla DNA polimerasi. Questo processo viene ripetuto un numero variabile di volte tale da garantire il mantenimento della lunghezza telomerica.



Figura 1: meccanismo d’azione della telomerasi


L’enzima telomerasi, molto attivo in età fetale, è poco espresso nell’adulto: esso trova la sua massima funzionalità principalmente nelle cellule staminali indifferenziate presenti nei nostri tessuti e, in condizioni patologiche, nelle cellule tumorali, che possiedono un potenziale di crescita molto ampio.

OTI e danno ossidativo

La lunghezza dei telomeri può essere sottoposta a variazioni indotte dall’ambiente e dal nostro stile di vita: è da tempo attribuita allo stress ossidativo, causato dall’accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nelle cellule, un’azione danneggiante nei confronti del nostro DNA, associata ad accorciamento telomerico e ad invecchiamento precoce. È quindi chiaro che la cronica esposizione ad agenti ossidanti (presenti, ad esempio, nell’aria inquinata o nel fumo di sigaretta) risulta dannoso per le cellule; viceversa, una dieta sana e l’attività fisica apportano agenti antiossidanti, a cui si associa attività telomerasica con rallentamento del processo di invecchiamento.

Oltre a terapie farmacologiche volte a riattivare l’enzima telomerasi, negli ultimi anni si stanno sperimentando le potenzialità dell’ossigenoterapia in camera iperbarica (OTI) per rallentare il processo di invecchiamento, specialmente in soggetti complessivamente sani, senza patologie croniche.

L’ossigenoterapia in camera iperbarica (OTI) prevede l’inalazione, durante sedute periodiche, di ossigeno al 100% in un ambiente, definito camera iperbarica, nel quale (come suggerisce il nome) la pressione è mantenuta ad un livello superiore a quella atmosferica (definita ATA). Respirando liberamente aria alla pressione di 1 atm (o 760 mmHg), essendo la percentuale di ossigeno contenuta in essa pari a circa il 21%, la pressione parziale pO2 di ossigeno nei nostri polmoni sarà pari a circa 160 mmHg. In camera iperbarica, ad una pressione pari, ad esempio, a 3 atm, con il 100% di ossigeno, la pO2 nei tessuti sarà quasi 15 volte tanto (2280 mmHg circa).

Esposizioni ripetute ed intermittenti a tali pressioni parziali di ossigeno inducono effetti fisiologici, che solitamente si hanno durante una fase di ipossia, in un ambiente ipertossico. Questa condizione, nota come paradosso iperossico-ipossico, è in grado di indurre l’espressione di tutta una serie di fattori di crescita, quali ad esempio il fattore di crescita dell’endotelio (VEGF) o il fattore inducibile dall’ipossia di tipo 1 (HIF-1). Il paradosso si basa sull’aumentato stress ossidativo a cui è sottoposto l’organismo (data l’alta pO2), che comporta un’aumentata produzione dei fattori sopra descritti e di altri agenti antiossidanti in modo tale da ristabilire un corretto rapporto con le ROS. In seguito, poiché l’emivita di questi agenti antiossidanti è superiore a quella delle ROS, si ha un prolungamento del loro effetto anche dopo il ristabilirsi delle normali condizioni (ambiente normossico).

Questi fattori di trascrizione, che sono over-espressi in condizioni patologiche nei tumori, portano ad un’aumentata proliferazione cellulare nonché ad una migliore perfusione dei tessuti. Per questo motivo l’OTI è largamente utilizzata per indurre l’angiogenesi (sviluppo di capillari) in tessuti colpiti da ischemia e per accelerare i processi di ricambio cellulare e cicatrizzazione a seguito di traumi.

Applicazioni cliniche dell’OTI

Se questi effetti benefici sono ormai largamente riconosciuti dalla comunità scientifica, è ancora però da dimostrare un ruolo concreto dell’OTI nell’allungamento del lifespan cellulare e nella prevenzione dell’invecchiamento in soggetti sani. Ciononostante, in questi ultimi mesi, sono emersi dei risultati, a seguito di uno studio di un’equipe di ricercatori israeliani, compiuto dal 2016 al 2020 nello Shamir (Assaf-Harofeh) Medical Center, che potrebbero aprire la strada a future sperimentazioni.

Questo studio ha riguardato 35 cittadini adulti e autosufficienti, di età superiore ai 64 anni e senza patologie croniche, sottoposti a 60 esposizioni a ossigenoterapia iperbarica con cadenza giornaliera. Al 30° e al 60° giorno di terapia, nonchè dopo 1 e 2 settimane dal termine delle sedute, mediante prelievo di sangue, è stata poi valutata la lunghezza telomerica negli elementi nucleati del sangue periferico e la percentuale di cellule in senescenza, confrontate con un campione prelevato all’inizio dello studio.




Figura 2: diagramma del gruppo di studio


Del gruppo iniziale, 5 pazienti non hanno completato le selezioni precliniche di base, mentre, dei 30 effettivamente reclutati, per scarsa qualità dei campioni di sangue, 10 pazienti sono stati esclusi dall’analisi delle cellule senescenti e 4 da quella dei telomeri.

All’analisi dei telomeri, rispetto al livello preclinico, la lunghezza dei telomeri è aumentata significativamente per i linfociti B, in particolare del 29.39% e del 37.63%, rispettivamente dopo la 30ma e la 60ma seduta, con un trend crescente nel periodo postclinico. Per quanto rigurarda le altre linee linfocitarie:

· Nei linfociti T-Helper si è evidenziato un allungamento dei telomeri del 21,70%, del 23,69% e del 29,30% a 30, 60 giorni e 2 settimane dopo l’OTI

· Nei linfociti T-Citotossici si è evidenziato un’allungamento rispettivamente del 18,29%, del 24,13% e del 19,59% nei tre periodi considerati

Questi dati, però, non sono risultati costanti a seguito di misurazioni ripetute. Lo stesso discorso vale per i linfociti NK (Natural Killers), la cui lunghezza telomerica, seppur in positivo, è variata in maniera altalenante nel corso dell’esperimento.



Figura 3: variazioni nella lunghezza telomerica nelle varie specie linfocitarie


Per quanto riguarda la percentuale di cellule senescenti nel sangue, solo le due linee di linfociti T hanno mostrato un trend significativo di decrescita, soprattutto dopo l’interruzione delle sedute:

· La percentuale di T-Helper senescenti è calata del 19.66 e dell’11,67% dopo 30 e 60 giorni, con un brusco calo al termine della terapia (-37,30%) protrattosi anche nel periodo post-clinico

· La percentuale di T-Citotossici è calata rispettivamente del 12,21%, del 9,81% e del 10,96% nei tre periodi considerati



Figura 4: variazioni nella percentuale di cellule senescenti nelle due linee di linfociti T


Per concludere, nonostante le limitazioni dello studio date, ad esempio, dalla ristrettezza del campione e dalla mancanza di un gruppo di controllo, questa sperimentazione clinica rimane comunque di grande valore per aver dimostrato per prima la possibilità, tramite l’OTI, di ritardare il processo di invecchiamento cellulare. Questo esperimento potrebbe, infatti, aprire la strada ad altri che potranno definitivamente smentirne o accettarne la validità.

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